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Arturo Pugno classe 1933,(nella foto a fianco a pesca all'età di 18 anni) un pescatore che ha passato la vita sui nostri torrenti ad insidiare trote e temoli con la sua canna valsesiana. Insieme siamo andati a tenere dimostrazioni e ad illustrare la nostra tecnica in Spagna e in Austria. Da quando la Società Valsesiana Pescatori Sportivi ha allestito il museo della pesca Arturo ne è l'anima e non manca di accompagnare i visitatori e di istruire nuovi allievi che da ogni parte vengono per imparare a costruire mosche, lenze ecc. Si è sempre domandato perchè: perchè oggi ho catturato ? Perchè ieri invece no? A queste domande si è dato una risposta e col passare degli anni ha saputo raffinare la sua tecnica diventando un abilissimo costruttore, a lui devo molto e se non fosse per lui sarei ancora lontano dal fare una buona canna, una lenza o una mosca perfetta.

 

Eccovi alcune righe che ha scritto per presentarsi ai visitatori di questo sito:

 

Fin che temoli e trote “autentici”, quelli nati e cresciuti insieme alle larve ed agli insetti di cui si sono cibati e cibano, popoleranno fiumi e torrenti, andrò ad insidiarli “alla Valsesiana”. Una flessibile canna dolce, lunga poco più di quattro metri, una lenza di crine di cavallo maschio, a segmenti decrescenti che può terminare anche con due crini, ma che non si estende molto oltre la lunghezza della canna stessa, tre o quattro mosche che interpretano l'insetto del momento, questi sono i componenti indispensabili della mia attrezzatura. Semplicità, praticità, essenzialità, eleganza, e aggiungerei, armonia, sono espressioni che si addicono alla tecnica di pesca a mosca “alla Valsesiana”. Da sempre, si ritene il pescatore “completo”, un pescatore capace di costruirsi la canna, di intrecciare la lenza ben equilibrata perchè possa posare le mosche con naturalezza e precisione, in piena corrente, dietro un masso, in lame calme, sotto i rami che sfiorano l'acqua dove, in agguato, la trota è pronta a salire in una bollata repentina ed evidente che rompe l'acqua, increspa la superficie a ghermire, quasi sommersa, l'interpretazione dell'insetto del momento. Ami che un tempo si ricavavano anche da aghi che una fabbrica locale produceva, seta colorata di un setificio di Varallo, piume di uccelli montani, sono ancora oggi elementi essenziali per costruire le famose Valsesiane che spesso, erroneamente, sono state semplicemente definite delle semi sommerse mentre invece possono essere anche “secche”, dipende dal tipo di piume usate e dalle capacità di quel pescatore “completo” che non intende mai imitare un insetto, ma interpretarne, nelle varie fasi di sviluppo, la vitalità, l'essenzialità. Come allora, non rinuncerei a far salire una scaltra marmorata o un temolo selettivo, sapendo di aver nel mio portafoglio la moschetta giusta.

 Tecnica antica, sì, di alcune centinaia di anni, ma sempre attuale. Pesco ancora così : così ho pescato in Francia, in Austria, in Slovenia: è una tecnica universale. E' servita nei tempi per catturare pesci per l'alimentazione, ora il fine non è più quello. Le emozioni di pescare con una tecnica così remota che raccoglie tutte le esperienze dirette, il confronto con pesci difficili, i ricordi, i tuoi piccoli segreti le malizie che hai conquistato con le tue osservazioni sono, però, così forti, che non puoi tradire il sistema che te le ha date.

Nel pescare alla Valsesiana, con canna e lenza fissa, non c'è nulla di artificiale, di meccanico, tutto parte dalla tua mente, dal tuo braccio, continua lungo la tua canna corre sulla lenza, termina sulle tue mosche che si posano dove tu vuoi, in attesa di una presenza che ti aspetti risponda alla tua offerta; i gesti sono semplici, istintivi, ma sempre calcolati e naturali. Che piacere, quel giorno, vedere il padre del Riccardo “Viulin” ultra ottantenne distendere la lenza, come se pennellasse, sulla superficie dell'acqua! Quanti temoli avran fatto tendere e vibrare quella canna che, all'occorrenza, (mi è capitato alcune volte) veniva anche lanciata in acqua, perchè galleggiante, quando un grosso pesce poteva compromettere la sua resistenza o quella della lenza; naturalmente veniva poi ripresa più volte fin che il pesce sfinito era portato a riva. -Arturo Pugno-